sabato 5 luglio 2014

La margherita

Il sole si alzava leggero nel cielo e illuminava il placido declivio di fronte alla baita. Mucchietti di neve candida si scioglievano velocemente, facendo scorrere scintillanti rivoli d'acqua. L'uscio si aprì. Il vecchio contadino dalla folta barbà uscì e trasse il suo quotidiano, lungo respiro mattutino. Sorrise alla vista di un furetto che guizzava rincorrendo un merlo che si appoggiava da un palo all'altro della staccionata.

Ero Roger Tadic

Ero Roger Tadic originario delle insanguinate lande della Serbia. Quel giorno, d'accordo con due miei compagni, decidemmo di organizzare questa spedizione estiva, l'ennesima di tante scalate che ci avevano portato sulle cime di questi ameni luoghi. Una mattina molto presto caricammo tutto il materiale preparato con accuratezza e partimmo. Nel pomeriggio ci inoltrammo per un'erta stradicciola sterrata che ben presto divenne poco più che sentiero. Giungemmo presso una piccola baita al limitare di un ruscello; qui lasciammo l'auto e ci sistemammo per la notte.
Già potevano osservare la cima che sarebbe stata la nostra meta. Quella sera stendemmo sul tavolo traballante della casupola le mappe in nostro possesso e tracciammo un percorso fra questi impervi luoghi.
La mattina successiva, di buon ora , un'abbondante nevicata salutò il nostro risveglio; il cielo era azzurro e pulito tanto che ringraziammo la nostra buona stella. Nel giro di un'ora eravamo già in cammino; all'inizio costeggiammo la parete più impervia lungo un dolce declivio, in modo da renderci conto delle difficoltà che, a dire il vero, ci parevano ben poca cosa. Trovammo uno stretto passaggio che dava accesso ad un vallone che ci avrebbe permesso di tagliare almeno tre,quattro miglia.
Ci inoltrammo per il passaggio mentre una leggera brezza prese a soffiare. Il vallone ben presto si strinse fino a diventare una sorta di corridoio naturale spazzato da gelide folate di vento; cominciamo a salire percorrendo una sorta di scalinata naturale che ci condusse infine in un pianoro roccioso al termine del vallone; uno strano spettacolo ci si parò davanti.
Il pianoro era delimitato su due lati da pareti a strapiombo e da un lato si poteva dominare la vallata fino ad una distanza considerevole. Ma la cosa più strana era che su di esso sorgevano delle abitazioni simili a baite, ma con una strana architettura che non riuscivo a ricondurre a nessuna cultura.
Tutte le case, seppure spartane, avevano mobili di fine fattura, come potemmo constatare visitandole, e numerosi strani oggetti dall'uso sconosciuto. In alcune camere c'erano grandi specchi contornati da strani bassorilievi, che recavano una rappresentazione di creature serpentiformi aggrovigliate le une alle altre in un intreccio raccapricciante.
Osservammo quegli specchi inorriditi ed allo stesso tempo attratti. Un tenue scintillio azzurrognolo sembrava baluginarvi costruendo geometrie inconcepibili sulla superficie riflettente.
Dopo una mezz'ora, comunque, decidemmo di riprendere il cammino. Per nostra sfortuna non avevamo scorto un fronte di tempesta che si avvicinava minaccioso. Ci affrettammo così a trovare un passaggio che ci conducesse il più in fretta possibile alla vetta, senza neanche presagire quale orrore ci avrebbe colto. Ora spero che sia stato solo un incubo, ma so, pur nella follia, che è tutto vero.
Lasciammo il villaggio risalendo la parete dove questa rientrava leggermente. Per un attimo, quando ormai ci stavamo allontanando dalle case, mi parve di scorgere un'ombra che sembrava uscire dalla roccia.
Salimmo, rapidi, osservando l'avvicinarsi delle nuvole scure che coprivano la valle. Il vento sferzava incessante mentre i nostri scarponi spezzavano il ghiaccio cercando un appoggio sicuro. Ogni passo era più difficile, ogni movimento un'immane fatica. Lugubri lamenti sembravano venire da ogni angolo attorno a noi. Infine giungemmo presso uno sperone dove potemmo riposarci per un'attimo accecati dai fiocchi di neve simili a pungenti dardi.
Eravamo disperati ed ormai concludemmo che non avevamo più speranza di arrivare in cima, così decidemmo di ritirarci il più in fretta possibile verso il villaggio dove potemmo ripararci... D'improvviso, però, una strana sensazione di terrore ci colse, come se una porta dell'inferno si fosse aperta da qualche parte. Sentivamo qualcosa che saliva. Non osavamo quasi respirare, ma , guardandoci atterriti, sapevamo che stava arrivando verso di noi. E così si schiantò su di noi. Fui come trafitto e precipitai sentendo gli strazianti lamenti dei miei compagni misti all'ululati lancinante della cosa. Miracolosamente caddi in un grosso ammasso di neve. Cercai dolorosamente di sollevarmi e scorsi vicino a me una delle strane case; mi guardai attorno, aspettandomi di scorgere qualcosa che mi avrebbe fatto impazzire da terrore ma non vidi nulla. Sentii solo l'ultimo straziante richiamo di Sasha che terminava in un gorgoglio. Nonostante l'orrore e le lacrime che mi accecavano, cercai una via di fuga e scorsi non lontano uno stretto pertugio nella roccia dove mi gettai il più in fretta possibile, trascinando il mio corpo dolorante. Credetti di penetrare in una grotta umida, invece mi ritrovai a calpestare la polvere millenaria di uno stretto corridoi scavato da qualcuno o da qualcosa! Respirai l'aria, quasi palpabile. Non potevo riuscire: fuori c'era la cosa! Il buio rassicurante annullava la mia volontà. Ero immobile. L'oscurità mi avrebbe celato per sempre. Poi sentii un lancinante dolore al braccio; mi toccai e tastai una strana sostanza vischiosa che si mischiava al sangue di una profonda ferita. Era uno strano liquido spumoso che colava fino a gocciolare dalla mano. La mente prese a turbinare impazzita e mi ritrovai a percorrere il corridoio. Ogni passo era più buio. Camminavo ma non sapevo perché ed alla fine, nonostante il buio era scurissimo, capii di trovarmi in un ampia sala. Sapevo di essere stato l'unico uomo ad entrare in quella sala negli ultimi secoli.sapevo che intorno a me si inalavano alte colonne i cui bassorilievi erano a dir poco grotteschi. Lo sapevo, mo non lo vedevo con i miei occhi. Migliaia di viscide nicchie pregne di umidità si aprivano nelle pareti. La mia mente vagava in un'ebrezza indescrivibile. Le tempie pulsavano in un furioso orgasmo dei sensi che parevano contorcersi, rivoltarsi in uno spasmo disumano. Sentivo, lentamente ed inesorabile, la mia natura torcersi nell'orrore. Infine cessò. Un lungo istante. Cosa sono ora? Non ho destino. Posso solo prendere posto sul trono al centro di questa immensa sala ad attendere.

Attendere la fine del mondo


Fine...?(Febbraio 2001)

L'abisso dell'odio

Mentre dal suo buio nascondiglio volgeva lo sguardo assorto verso gli ultimi spettrali bagliori delle torce, cominciò a scavare il sepolcro per la sua lucida lama tra il marcio sottobosco; la spada che ormai non riusciva più a nascondere alle oscure potenze; raschiava l'umida terra con tutte le sue residue forze, decimate dalla tetra volontà della spada che ottenebrava quella del poderoso guerriero. Prese la spada e, con un ultimo sforzo, iniziò a ricoprirla con tutto ciò che gli capitava per mano, persino i viscidi Khtoth che bruciavano la sua dura pelle; poi si alzò con impeto senza più preoccuparsi dei suoi inseguitori, la cui attenzione era attirata dalla tenebrosa aurea della lama demoniaca, e iniziò a correre a precipizio, incurante dei giovani virgulti che gli sfregiavano la fronte e degli intricati rovi che tagliavano le sue gambe. Sfrecciò nella gelida notte, fra i tronchi spettrali, incurante della fatica e del dolore, mentre le fini ali degli esseri della foresta sbattevano sulla sua faccia e mille occhi scrutavano la sua corsa per la vita dalle loro tane nascoste.
Si fermò. Annaspò appoggiato ad un muschioso tronco, inspirando dolorosamente la fredda aria della foresta; respirava rumorosamente, i polmoni squassati dalla malattia, quando notò un bagliore guizzante subito davanti a se. E vide la lunga lama indomita che spuntava dall'elsa intarsiata da antiche mani: la spada, ancora ricoperta di terriccio, che sembrava sbeffeggiarsi del guerriero.
Dense lacrime scivolarono sul suo viso martoriato, bruciandogli le profonde ferite coperte di fango, mentre imprecava verso l'oscurità avvolgente; sentì cupi rumori in lontananza e scorse nuovamente il tremolante bagliore delle torce avvicinarsi, guidato da un sicuro bersaglio. Ricominciò la sua corsa sempre più disperata, brandendo la spada con rabbia, cercando di frantumarla sui tronchi.
Le forze iniziarono ad abbandonare il suo corpo e la sua mente, quando d'improvviso si ritrovò in una radura, abbagliato dalle fiamme crepitanti di un immenso falò; e vide le case distrutte dalla furia dei Ghodd e dei loro tenebrosi servitori; vide con terrore crescente decine di corpi riversi negli usci, e ancora di più ardevano terribilmente fra le fiamme innalzando folte volute di fume denso e nauseante. Il suo villaggio. Tanto aveva dunque vagato, fuggendo dai suoi aguzzini, per giungere qui.
Si voltò verso la foresta e scorse le abnormi figure dei suoi inseguitori e sentì i versi gorgoglianti delle loro fauci; la sua disperazione vinse per un istante la volontà della spada ed egli si gettò sulla lama chiedendo perdono al suo Dio. E successe ciò che aveva sempre sperato dal primo istante in cui impugnò la spada; mentre la lama apriva uno squarcio diretto al cuore, un'altro squarcio si apriva nell'aura della spada, e finalmente riuscì a dominare il malefico potere.
Mentre il sole proiettava i suoi primi raggi mattutini, lambendo le rovine; mentre le ultime fiamme si estinguevano nella radura; mentre le piccole creature della foresta osservavano nascoste; mentre l'anima del guerriero fuggiva finalmente il corpo, libera del fardello mortale e della volontà della spada, egli giurò rivolto alle sacre stelle che sarebbe tornato per consumare la sua vendetta.
Un urlo risuonò fra le valli senza fine.
Gli scalini erano viscidi sotto i suoi piedi. Da quanto tempo saliva? Non capiva lo scorrere del tempo. Percepiva solo l'oscurità intorno a lui e intravvedeva vagamente la figura serpeggiante della scala che saliva fino a perdersi nel buio. Poi, innanzi a lui, comparve un trono incredibile scolpito nella scura roccia, alto più della volta nera, più imponente di qualsiasi torre. Vide qualcuno e sentì poi la sua voce possente e triste allo stesso tempo:
“Grande fu il tuo fardello in vita e grande sarà il tuo fardello negli infiniti giorni della morte. Non potrai infine giungere presso le grandi aule fra le sacre stelle, fino a che il tuo giuramento non sarà compiuto”.
E il trono sparì; la scala infinita scomparve nel buio.
Iniziò a cadere. In basso? In alto?
Scorgeva un pavimento farsi sempre più vicino. Schianto. Freddo.
Sentiva dolore una fitta quasi insopportabile nel petto. Una fitta che giungeva fino al cuore. E sentiva freddo, come se un gelido frammento dei ghiaccu di Lhodor fosse al posto del suo cuore. Si alzò dal suo sepolcro. Uscì dalla sua tana allontanandosi dal suo rassicurante giaciglio. Ma tornò indietro. Aveva dimenticato la spada, che ancora giaceva accanto alle sue spoglie mortali.
Si incamminò faticosamente mentre il dolore faceva urlare la sua anima e il contatto con ogni cosa viva aumentava il gelo. Salì le scale coperte di polvere e vide il tramonto: i raggi del sole che lambivano l'antica cripta. E così ricordò la vita, il calore, il profumo della foresta al crepuscolo. Ricordi.
Attese la notte.
La notte che accoglieva magnanima le spettrali figure delle anime maledette dal loro odio, dalle loro colpe.
Si incamminò verso il suo destino, diretto verso le oscure terre del Possessore, mentre le creature della foresta fuggivano la sua presenza.
Fine
(1994)