domenica 6 luglio 2014

Sole d'inverno

“Statale 191. Codice525”, gracchiò l'autofono. Sul display al centro del cruscotto iniziò a lampeggiare a grandi caratteri rossi il numero 525; pochi istanti e satvo guidando veloce fra le colonne della sopraelevata. Osservai il RadCom per verificare la posizione delle pattuglie nelle vicinanze; sarei arrivato per primo. Inclinai di pochi gradi la cloche ed entrai nel veloce traffico della 191 facendomi largo con l'aiuto dello stridulo suono della sirena. In breve scorsi una piccola Mazda Demon rovesciata.Al lato del portellone un uomo tremante reggeva saldamente qualcosa, proteggendolo dalle insistenti attenzioni di due uomini con lunghi cappotti neri; ognuno teneva in mano uno strano bastone terminante con un'affilata punta. L'uomo accanto alla Mazda cercava di ritrarsi terrorizzato, mentre un rivolo di sangue colava dalla sua guancia. Per un attimo si volse verso i due aggressori che non sembravano essersi accorti del mio arrivo.

Poi, guando iniziai ad azionare i freni aereodinamici, si voltarono e fissarono i loro sguardi su di me: una strana opprimente sensazione mi pervase, ma, senza farmi sorprendere, aprii un canale audio esterno e dissi con tono autoritario:
"Voi due, allontanatevi dalla macchina e gettate le vostre armi verso il mio veicolo!".
Passò un attimo senza che i due uomini facessero gualcosa; sentivo solo il roco ansare dell'uomo sconvolto. Poi decisi di uscire dal veicolo, dopo aver preso la pistola.
"Va bene! Ora mi consegnate le vostre armi altrimenti sarò costretto a neutralizzarvi", ordinai.
I loro bastoni sembravano innogui, ma il mio istinto suggeriva di stare all'erta. Ormai ero a pochi metri e, nell'avvicinarmi, mi sentii stranamente in pericolo, nonostante fossi in evidente vantaggio; i due uomini non parlavano ne si muovevano e, in ogni caso, non ero tanto sicuro di voler sentire la loro voce. Poi emisero degli strani suoni gutturali che fecero letteralmente gelare il sangue nelle mie vene. Nonostante la disciplina acquisita nell'addestramento nei T.A.G., gettai via la mia arma e corsi via mentre nelle mie orecchie rintronavano ancora quei strani versi. Non osavo voltarmi, ma sentii infine gli ultimi rantoli gorgoglianti dell'uomo straziato dai due misteriosi personaggi.
Non capii bene cosa successe dopo, ma sentii le sirene dei miei compagni arrivare e vidi che i due uomini dai lunghi cappotti neri erano spariti riportando un pò di serenità' nel mio animo. Rialzai lo sguardo tremante mentre le pattuglie si arrestavano intorno a me ; mi volsi verso la macchina capovolta osservando i resti stanziati dell'uomo e vidi un vecchio e consumato libro a pochi metri dal corpo: lo raccolsi e lo osservai con strana ammirazione. Poi sentii una voce lontana: "Tutto ok Abel?"; mi scossi e, finalmente tornai alla realtà.
"Credo di si", risposi.
"Cose guella roba?", chiese Gart, un mio vecchio compagnio dei T.A.G.
"Credo che sia un antico libro".
"Ma non dovrebbe trovarsi in un museo, insieme a tutti gli altri?"
"Forse e stato rubato. Comunque penso che qualcuno lo cercherà ben presto. Osservai la rigida copertina che recava in bassorilievo il titolo:
"KRAAG", con delle incisioni che attorniavano la scritta. Per il momento decisi di non esaminarlo:tirai fuori un contenitore,vi misi il libro e digitai:"OGGETTO ?-1 .Codice : 525.Stat.:191.Ora:18.21.Data:5/8/2472"!


Lo stretto viale che conduceva alla scuola era quasi deserto. Il professor Kyzak si affrettava verso la sua auto, impaziente di tornare a casa; per fortuna il suo lavoro di insegnante gli lasciava abbastanza tempo libero da dedicare al suo "hobby". Aveva una casa da tenere in ordine, qualche lezione privata, ma, sopratutto il club. Quella sera doveva presenziare la consueta riunione settimanale e due suoi collaboratori erano appena tornati dalla WestCost con delle notizie interessanti. Quel pomeriggio preparò un breve discorso sulle attività settimanali ed attese impaziente; quando ormai la sera era giunta, uscì, avviandosi nella gelida brezza di Boston.
Camminò spedito per alcuni minuti, poi giunse davanti ad una breve scalinata che portava ad un grosso portone con una targa appesa su cui era inciso:
"Club amanti della Storia Antica".
Kyzak si avvicinò al portone ed inserì la sua keycard. Si aprì uno spiraglio ed il professore entrò trepidante. Nel salone lo attendevano alcuni soci che consultavano la nutrita biblioteca visiva accanto al camino. Il professore salutò alcuni amici poi si diresse verso la saletta delle conferenze dove lo attendeva Tobias, il suo braccio destro. La sala era deserta. Lungo le pareti di legno c'erano candelabri con delle autentiche candele di cera che illuminavao flebilmente le poltrone imbottite; sui pannelli dei mogano delle pareti erano incisi antichi aforismi e delle scene di vita antica, sopratutto di congreghe di illustri studiosi e letterati che conferivano in antiche sale romane, greche, arabe antiche e settecentesche.
"Salve Tobias", esordì Kyzak rivolto al giovane;
"Buonasera, professore. E' tutto pronto per il consueto discorso. Quando avrà terminato, potremo ascoltare gli adepti del club di Los Angeles. Dovrebbero arrivare a momenti", concluse Tobias, dando un'occhiata all'orologio meccanico di fabbricazione svizzera.
"Bene. Non mi dilungherò molto. Immagino che tutti siano impazienti di ascoltare le novità"; detto ciò, Kyzak si avvicinò al visore per ricontrollare il suo discorso.
Ancora pochi minuti e tutti si avviarono verso la sala, prendendo posto sulle comode poltrone. Kyzak sali sul palco di legno e pronunciò il suo discorso con il solito tono colloguiale di chi fa dell'oratoria un'arte.
Suggerì più volte di organizzare una spedizione in un territorio situato fra gli affluenti del Rio delle Amazzoni, dove era sicuro che si celassero importanti cimeli di alcune antiche tribù barbariche scomparse da secoli.
"Ed ora, infine, permettetemi di dare la parola a due nostri soci della costa occidentale: Philius Tzhadik e Gart Baccus", concluse infine, invitando due uomini che sedevano in prima fila.
Uno dei due, sfogliando nervosamente alcuni appunti, disse:
"Ebbene, amici, portiamo una grande notizia. Un oggetto che reputavamo scomparso per sempre, si trova ora a Los Angeles!". Un brusio si alzò dagli astanti, incuriositi.
"Gart, vuoi mostrare l'immagine?". Philius si rivolse al suo compagno che prese ad armeggiare con il visore a parete. Quando apparì l'immagine del misterioso oggetto calò un esterrefatto silenzio sulla platea. Poi Kyzak sussurrò:
"II libro perduto di Kraag!"

"Non se ne parla nemmeno, capo!", sbraitò.
"Senti Abel", disse il capitano Koslowski,"devi imparare a non rispondere così ai tuoi superiori se vuoi tenere questo lavoro".
Abel fece qualche passo verso la finestra ed osservò il grigio panorama dei grattaceli. Il sibilo di un Avio lo distolse dalla contemplazione. Si voltò. "Lei non capisce. Non ha visto di cosa sono capaci. Quel libro dovrebbe essere gettato sul fondo di un abisso. Ed io non lo toccherò nemmeno con i guanti".
Calò un pesante silenzio nell'ufficio.
"Mi spiace Abel. Gli ordini sono questi. Devi portare il libro a Chicago.Buon viaggio", sussurrò il capitano;"In bocca al lupo!", terminò. "Molte grazie, capitano. Spero di tornare vivo!".
Uscì dalla stanza. Non gli piaceva per niente quella storia. Andò nel magazzino e prese il libro, che era stato sistemato in una valigetta scura con una chiusura magnetica. Poi si fece dare un Avio leggero e partì subito, con l'idea di tornare il più in fretta possibile.
Lasciò la coltre grigiastra di Los Angeles, sorvolando a 50 metri da terreno le lande disabitate dell'interno. Gli antichi ruderi dei centri abitati si consumavano battuti dal vento sibilante; ben presto i radi arbusti dei dintorni di Los Angeles lasciarono il posto agli alberi sempre più fitti della foresta selvaggia.

Abel decise di aumentare un pò. la quota per evitare di disturbare le strane creature che si nascondevano nelle fitte tenebre della foresta. Arrivò a Chicago in tempo per ammirare il rosso tramonto dietro le colline; pochi minuti dopo saliva le scale del Centro di Ricerca Storica. La segretaria disse che il professor Kyzak lo attendeva, così andò verso il suo studio. Attraversò un lungo corridoio le cui pareti ospitavano ricostruzioni olografiche di antiche città perdute. Finalmente arrivò davanti alla porta dello studio. Entrò accolto dallo studioso che squadrò attentamente. "Salve, professore", disse, "Ho portato qualcosa per lei". "Salve, agente. Ha fatto molto presto. Se permette vorrei subito dare un'occhiata al libro", esordì Kyzak.
Abel gli porse la valigetta aprendola e mostrò il volume consumato dai secoli; il professore lo prese in mano e lo accarezzò con delicatezza e poi sussurrò:
"Finalmente", aggiungendo poi a voce alta,"Perfetto, agente; se permette, ora ho bisogno di alcuni giorni per esaminarlo e dare un completo resoconto". "Bene", rispose Abel,"Allora io posso andare; e si ricordi che il libro è un a prova indiziaria. In ogni caso due agenti saranno sempre alla sua porta".
Stava per andarsene quando suonò l'interfono e Kyzak, dopo aver ascoltato il messaggio, gli fece cenno di attendere. ''C'è qualcuno che vuole parlarle", disse il professore.
Improvvisamente Abel percepì una strana ed opprimente sensazione di pericolo, come quando aveva visto per la prima volta quegli strani esseri. "E' uno di loro!", urlò.

Il professore lo guardò sbalordito e rimase paralizzato dallo sguardo di terrore negli occhi di Abel che si stava gurdando attorno cercando una qualche via d'uscita secondaria; trovò una piccola porta e vi si gettò, trascinandosi dietro il professore attonito. Non appena si chiusero la porta alle spalle sentirono qualcuno entrare nell'ufficio e, poi, con orrore, sentirono che cominciò come ad annusare l'aria, cercando il loro odore; piano piano si avvicinò alla loro porta e, poi, ad un certo punto, la aprì, dopodiché Abel prese a correre a perdifiato seguito dappresso dal professore; dietro di loro sentirono l'urlo del loro inseguitore; l'urlo di un cacciatore. Salirono una breve rampa di sacle e si ritrovarono sul tetto dove li aspettava l'Avio. Vi si gettarono dentro ed azionarono i motori, ma, nonostante il rumore, sentivano ancora quello strano verso che sembrava provenire dall'abisso di un incubo. Poi, come iniziarono a prendere quota, il verso lentamente svanì, tramutandosi in una infernale risata di scherno!

L'Avio sfrecciava veloce nell'aria. I due uomini a bordo non parlavano. Piano piano ripresero a ragionare con razionalità, cercando invano di cancellare il ricordo di quel verso. Abel rallentò il volo quando erano sopra alla foresta.
“Ora che facciamo?”, chiese Abel, dopo aver ormai perso il suo proverbiale sangue freddo.
"Non ne ho idea", disse Kyzak, ancor più sconvolto.
"Credo, comunque, che il libro appartenga a loro", aggiunse dopo qualche attimo.
"Allora sarà sufficente restituirglielo!", affermò Abel.
Il professore ci pensò su, poi disse:
"Non penso sia così semplice. Credo che dovremmo analizzare il libro per trovare qualche soluzione".
Improvvisamente il radar dell'Avio segnalò un grosso oggetto in avvicinamento. Non si trattava di un'Avio, ma, disse Abel, di qualche grosso volatile della foresta; Abel sembrava molto preoccupato. L'enorme bestia si avvicinò molto velocemente a loro e, d'un trtto, li urtò violentemente; Abel cercò di tenere sotto controllo il mezzo ma ben presto si ritrovarono a sfiorere la volta della foresta; con tutta la sua maestria cercò di dirigere l'Avio in qualche spiazzo, ma non vide altro che alberi dappertutto; scendevano rapidamente, ma, infine Abel riuscì a rallentare per potersi fermare con uno schianto, poggiandosi sui grossi rami di un gigantesco albero. E così si ritrovarono in uno dei posti più selvaggi della terra, dopve da secoli nessun uomo vi si recava più, probabilmente senza avere la possibilità di ripartire con l'Avio.
Per un pò Abel cercò di testare i sistemi dell'Avio, ma ben presto si rese conto che era inutile sperare di ripartire da li, così decisero di prendere tutto quello che potevano e di cercare una via d'uscita tra gli alberi; Abel prima di abbandonare l'Avio, verificò che funzionassero i sistemi radio, ma tutto fu inutile.
In qualche modo riuscirono a raggiungere il terreno, per poi incamminarsi lentemente intralciati dal fitto sottobosco; il professore non era mai stato personalmente in un bosco, ma aveva provato delle simulazioni olografiche per cercare di ricreare l'antica atmosfera che respiravano gli studiosi e gli intellettuali dell'antica Roma e delle altre civiltà scomparse camminando lungo i giardini, ma qui provava una nuova sensazione, anche perché molte piante e gli strani versi dei piccoli animali erano notevolmente mutati da allora e le sensazioni reli non erano ancora state simulate alla perfezione.
Anche Abel, nonostante avesse camminato spesso nei parchi di Los Angeles, provava forti sensazioni di allenita e capiva di essere in qualche modo un estraneo in quel luogo incontaminato; nonostante fosse pieno inverno e nelle città tutti si premuravano di tenere attivi i riscaldamenti, li nella foresta c'era un a sorta di microcosmo che mitigava la temperatura dell'aria, che rimaneva comunque molto umida. Per il momento non pensarono di correre pericoli, non temendo le piccole creature e credendo, forse a torto, che non vi fossero grossi predatori.
Cercavano di camminare il più speditamente possibile, ma si rendevano conto che percorrere tutta la foresta sarebbe stata un'impresa al limite delle loro possibilità, senza contare la fascia desertica che separava la foresta dalla città; inoltre avevano ben presente ancora il loro cacciatore infernale e sapevano, pur nella muta consapevolezza, che li avrebbe potuti raggiungere in qualsiasi posto si fossero nascosti.
Ad un certo punto, in una pausa del loro cammino, Kyzak decise di dare un'occhiata al libro, aprendolo con reverente attenzione, come se nascondesse dei segreti sconvolgenti; ben presto fu preso dallo studio quasi dementicandosi dov'era. Abel cercò di attirare la sua attenzione quando venne il momento di riprendere il cammino, ma il professore era preso da una strana smania di lettura e gli disse di attendere ancora perché forse aveva trovato qualcosa di interessante:
“C'è qualcosa in questo libro, che potrebbe essere di vitale importanza",disse;
"Devi sapere che fu redatto migliala di anni fa e questa non e che l'ultima delle copie stampate tratta direttamente dall'originale.”
Le parole di Kyzak si perdevano tenuamente nell'umida atmosfera della foresta;
Abel ascoltava con attenzione, ma allo stesso tempo osservava il limitare del bosco, sussultando ad ogni rumore sospetto, cioè ad ogni istante.
Dalle parole del professore, il poliziotto capì che aveva dedicato tutta la vita rivolto al passato, alla ricerca delle radici dell'umanità, che si stavano dissolvendo nella società delle mega città e della continua ricerca del progresso. Il professore aveva ritrovato un frammento dell'antica saggezza nei libri fatti di cellulosa e sapeva che l'umanità era alla fine di un lento ed inesorabile declino iniziato secoli prima; tutto ciò che l'uomo aveva creato con l'ingegno e la fantasia era ormai perso o era solo un tenue bagliore dell'antica luce.
La sua voce si bloccò d'improvviso.
"Schh!!", sussurrò Abel, "Ho sentito qualcosa!", concluse sottovoce.
Aveva percepito un tenue scricchiolio proveniente da un cespuglio. Vi si avvicinò lentamente. Tutt'intorno era cessato ogni rumore e sentiva solo uno strano sbuffare che proveniva dal contorto cespuglio. Si volse un istante verso il professore che aveva alzato lo sguardo dal libro e lo fissava con un'espressione interrogativa. Gli fece segno di aspettare e di non muoversi.
Indossò le lenti ad intensificazione e fissò il cespuglio. Vide qualcosa.
Una strana figura oblunga che si contorceva. Sembrava avere delle zampe e due grandi occhi luminosi. Ed una bocca. Una bocca da cui spuntavano aguzzi denti. Abel si avvicinò cautamente, cercando di non fare alcun rumore. Era a meno di un metro dalla creatura. Si contorceva, come se stesse sopportando un forte dolore. Abel si avvicinò ancora un pò e, d'improvviso capì: la creatura era una femmina e stava partorendo? Troppo tardi si accorse di essersi avvicinato troppo, e la bestia della foresta se ne accorse, con uno scatto velocissimo balzò fuori dal cespuglio e si avventò su Abel che cercò di ritrarsi. Lo azzannò ad un braccio per poi scattare via nel fitto del sottobosco. Abel urlò ma subito si rese conto che l'animale era quasi innocuo, allora si massaggiò la piccola ferita e si voltò per rassicurare il professore. Rimase a bocca aperta: il dottor Kyzak stava letteralmente affondando nel terreno! Abel strabuzzò gli occhi, credendo di vedere male. Si tolse di scatto le lenti gettandole via e corse verso di lui per aiutarlo. Vide i suoi occhi con impresso uno sguardo di terrore e la bocca spalancata in un silenzioso urlo. Stava sprofondando in una specie di fossa nascosta ai piedi dell'albero dove si era appoggiato per leggere il libro; qualcosa lo stava trascinando giù, tenendolo per le gambe, e non riusciva a resistere. Abel scattò con prontezza ma, non riuscì a capire come, inciampò in una radice e cadde riverso al suolo;cercò di rialzarsi ma non vi riuscì, perché aveva la caviglia impigliata nella radice e questa si stava muovendo, uscendo sempre più dal terreno per ghermirlo!
La testa del professore stava scomparendo nei terreno muschioso al di la di un passaggio angusto che lasciava intravvedere un viscido cunicolo che sembrava fosse stato scavato da un gigantesco verme; Abel cercava con tutte le forze di strappare la sua caviglia alla morsa della radice ma più cercava di divincolarsi, più sentiva il suo corpo che veniva ricoperto e stretto dalla morsa di una miriade di braccia verdi. Lo stavano completamente circondando ed ormai sentiva di soffocare; le forze lo stavano abbandonando e si contorceva sempre più lentamente, come un piccolo topo nelle grinfie di una serpe. Troppo verde. Umido, viscido, pieno di vermi. La pelle graffiata. Non respirava. Tutto stava dventando indistinto. Lontano il richiamo disperato del professore del passato. C'era una luce azzurra, un bagliore lontano che poteva toccare, era caldo come il ghiaccio; pungeva e lo circondava come una carezza.
Si alzò ed osservò il panorama dalla collina. Tutto era tranquillo. Non una voce, non un rumore, finalmente. Alcuni pulcini cercavano di volare, aiutati dalla madre, sull'albero. Il cielo era caldo e luminoso e sotto un piccolo ruscello ribolliva. Lontano l'ombra andava scomparendo, sommersa dal nuovo ciclo.Camminò per sempre e vide tutto finalmente senza nessuno.
Non lo sentiva! Quello stolto poliziotto non riusciva a sentire i suoi disperati richiami. O era lui che non riusciva a farsi sentire. Un forte dolore gli serrava le gambe. Stava Fasciando i fianchi in una specie di tunnel. Cercò di imprecare ma sentì la gola serrata da qualcosa tanto che quasi non riusciva a respirare.
Lo stretto cunicolo era tetramente illuminato da una luce soffusa e tremolante che gettava ombre dappertutto. Era ormai ad alcuni metri dal livello del terreno quando"vide cosa lo stava tenendo: due robuste mani irte di peli che sembravano più quelle di una scimmia, ma comunque umane. Cercò di far avanzare lo sguardo, con gli occhi che gli lacrimavano per la stretta di quella che sembrava essere una corda e poi vide lo sguardo del suo cacciatore e subito dopo uno strano bastone che l'uomo brandiva e con cui lo colpì inesorabilmente.
Non era uno dei suoi sentieri preferiti e lo percorreva di rado, solo quando doveva recarsi nei- tempio- d'argento, ^'ma ora lo stava seguendo perché uno dei segnali era stato attivato e, e voleva dare un'occhiata, seppure a malincuore.
Controllò con attenzione dove metteva i piedi per evitare le Felci-serpe che qui erano più frequenti che nel suo territorio; guardò in alto sugli alberi e notò stranamente che vi erano pochi Terojar nei loro nidi, come se avessero avvertito qualcosa e fossero fuggiti in alto nel cielo. Gli Terojar erano fra i pochi animali della foresta che ne uscissero abitualmente. Lui personalmente ne aveva costeggiato i confini a Sud-Est ma non si era mai inoltrato oltre i pochi passu.nel deserto.
Sentiva nell'atmosfera uno strano odore, molto tenue che non aveva niente a che fare con la foresta e capì che poteva provenire dall'alto; infatti, ad un certo punto riuscì a vedere qualcosa che brillava a circa una ventina di metri dal terreno. Sembrava come se una delle Bord del sottosuolo fosse stata ripulita ed appoggiata su un grosso ramo. Poi, non lontano scorse un grosso cespuglio di felci-serpi ed in mezzo qualcosa; sembrava un corpo. Si avvicinò e vide un uomo con indosso strani abiti. Sapeva che era un uomo, come lui, più o meno, ma, a parte i Fanahivori, erano molti enni che non ne vedeva uno e certamente non ne aveva mai visto uno così.
Vide chiaramente che era sotto la stratta della pianta e si avvicinò con cautela, immaginando che nei dintorni ci fosse anche un cunicolo dei Fanghivori. Sembrava tutto abbastanza tranquillo così potè cedere che l'uomo era privo di sensi, forse anche morto. Prese la sua grossa falce e cominciò a recidere le grosse foglie dalla radice; la piante fremette, come se volesse dimostrare il suo disappunto. Alla fine riuscì a liberarlo abbastanza da trascinarlo via. Era ancora vivo. Se lo caricò in spalla e, lentamente, si allontanò verso casa facendosi largo fra i cespugli intricati e gli odorosi massi coperti di muschio.
...continua

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