domenica 6 luglio 2014

Loro ci sono

Uscimmo quando ormai il sole era tramontato da più di quattro ore; avvolti nei nostri leggeri cappotti, ci avviammo, illuminati dalla luce artificiale dei lampioni mentre un freddo e fastidioso vento faceva ondeggiare sinistramente gli alberi ed i bassi cespugli che si perdevano nell'oscurità. Ben presto lasciammo la strada asfaltata per inoltrarci nella bassa vegetazione che ricopriva le colline ondulate. Con un fugace sguardo osservammo la casa da cui eravamo usciti, di fronte alla quale un'alta mimosa fronteggiava la gelida breccia.

Ben presto la periferia dalla cittadina scomparve dietro una cresta rocciosa; avanzammo lenti, impacciati dai rovi e dal terreno impervio le cui insidie erano nascoste nella notte.
Dopo un'estenuante marcia il mio compagno si fermò, indicando uno sperone roccioso tramite il quale individuammo la nostra meta; ci apprestammo a scendere lungo il dolce declivio che serpeggiava insinuandosi fra due pareti di roccia fino a giungere presso uno spiazzo erboso, cosparso di alte canne fra le quali si innalzava scuro e minaccioso un tarchiato nuraghe la cui posizione, quasi nascosta dalle colline, stonava con l'antico uso che ne facevano gli abitanti originali.
“Prendi la torcia, Nico”, sussurrò Marcello.
Aprii lo zaino e tirai fuori una delle due torce porgendola al mio amico trepidante, poi dissi, a bassa voce:
“Aspetta di essere all'interno, poi io andrò avanti mentre tu mi illuminerai la zona”.
Aspettai che Marcello avesse acceso la luce poi, cautamente, entrai osservando la piccola camera interna e scorsi la piccola nicchia; mi avvicinai e misi la mano nel piccolo pertugio cercando la levetta che spostai fino a percepire un tenue rumore metallico, poi vidi una fessura che si era aperta nel pavimento nei pressi dell'entrata.
Scorgemmo le scale consunte che scendevano verso un basso corridoio scavato rozzamente e, stoltamente, tirai fuori anche l'altra torcia accendendola, spinto dal forte desiderio di scoprire. Poi ci inoltrammo nell'antico corridoio e, d'un tratto, sentimmo un forte schianto alle nostre spalle:
“La botola!”, urlai. ”Non l'abbiamo bloccata”.
Marcello si precipita all'entrata e cercò di sollevare la lastra di pietra, ma senza riuscirvi. Così riprendemmo il cammino, spinti dalla speranza di trovare un'altra uscita.
Camminammo per diversi minuti senza che il corridoio si biforcasse, ma poi vidi una piccola stanza irregolare che si apriva su un lato del corridoio. Oltrepassammo la volta della stanza ritrovandoci in uno strano ambiente: il pavimento, in pietra scolpita con bizzarri simboli, era interrotto da una colonna larga non più di un metro, che si interrompeva verso l'alto a circa due metri, come una sorta di alto tavolo di pietra su cui poggiava un oggetto oblungo.
Lo prendemmo e lo osservammo alla luce delle torce che già iniziavano a spegnersi: non era altro che una statuetta simmetrica raffigurante un poderoso capro dalle lunghe corna; riposi la statuetta nello zaino e, dopo aver controllato le pareti della stanza, riprendemmo il nostro cammino.
Poco dopo la torcia di Marcello si spense. Subito dopo vedemmo che il corridoio terminava con una bassa porta in legno. Ci avvicinammo trepidanti e, quando sfiorai la maniglia, questa cadde con un fragore metallico che rimbombò cupo; in pochi istanti le tavole della porta cedettero sbriciolandosi. La torcia illuminò un'ampia camera dalle pareti irregolari.
Entrammo ed esaminammo la stanza alla luce sempre più flebile della torcia. Prospicente ad una parete c'era un'altra piccola porta ed al centro della camera si stagliava una grossa tomba di pietra su cui era scolpito il volto del morto colpito da uno spesso strato di polvere. C'erano anche alcune iscrizioni in una lingua a noi sconosciuta. Cercammo di aprire il sepolcro ma, nemmeno in due, riuscimmo a smuoverlo.
Poi ci dedicammo alla porta, che si sbriciolò come l'altra al primo tocco. Illuminai un'altro lungo corridoio che si perdeva nel buio ed intravvidi una strana ombra che si avvicinava lentamente. In breve scoprimmo la natura di ciò che si stava avvicinando: da una curva del corridoio sbucò un'enorme capro sbuffante più nero dell'ombra. Prese a correre verso di noi. Rimanemmo immobili per un istante, poi Marcello tirò fuori un lungo coltellaccio e attese mentre io spensi la torcia.
Non sentimmo più niente.

Un rumore alle nostre spalle ci fece sobbalzare, ma non scorgemmo nulla.
Poi, in una fredda luminescenza, si stagliò davanti a noi una strana ed inquietante creature delle dimensioni di un gatto: aveva tre zampe su cui poggiava un tozzo corpo sferico da cui dipartiva un lungo tentacolo terminante con una strana protuberanza cilindrica cosparsa da una sostanza vischiosa.
Stava immobile, davanti a noi, quando Marcello, preso da un'improvvisa follia, si avventò su quell'essere, infilzandolo con il coltello.
Il corpo dei quella bestia esplose insozzando di una scura sostanza Marcello, che si ritrasse inorridito. Poi ci fu silenzio.
Restammo per qualche minuto immobili cercando il da farsi, poi tirai fuori alcuni fogli e presi a scrivere questo breve resoconto, nella speranza che qualcuno lo trovi. Cosa molto improbabile.
Ho poggiato i fogli nel sepolcro del misteriso uomo. Ora ci inoltreremo nel corridoio che sembra scendere verso gli inferi e sembra tutto tranne che una via d'uscita.
Non ha senso tronare indietro. La torcia si sta ormai spegnendo, come la nostra speranza di uscire vivi. E' ora di andare.
FINE

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