domenica 6 luglio 2014

L'essere trasparente

L’aria era immobile. Nessun odore. Lontano sentivano solo il cupo rombo della metropoli ormai lontana. Solo i loro passi leggeri scricchiolavano nella stradina attorniata da fitti cespugli che si protendevano, gettando fitte ombre, verso di loro. Camminarono per un’altra ora e oramai il rumore lontano della città era scomparso. Solo il flebile soffio di un’umida brezza faceva frusciare i rami contorti degli ulivi. Le foglie fremevano.

Presto giunsero ad un bivio. Davanti a loro la strada proseguiva ancora, allargandosi. Sulla sinistra un’altra piccola stradina scendeva inoltrandosi dentro un fitto bosco buio da cui sembrava provenissero scricchiolii e rumori di natura indefinibile. I quattro ragazzi si guardarono perplessi.
“Guarda un po cosa dice la carta”, sussurrò Nicola rivolto al più piccolo di loro. In realtà la sua voce rimbombò nella notte divenuta gelida, e quasi sembrò che venisse risucchiata verso il buio sentiero silvano. Un improvviso silenzio calò tetro fra loro. Anche i tenui ed inquietanti rumori provenienti dal bosco si erano interrotti sinistramente.
Gianluca frugò nel suo zainetto in cerca di qualcosa. Tirò fuori un foglio sbiadito arrotolato dentro un piccolo tubo di legno. Lo svolse e lo illuminò appena con la piccola pila che teneva in mano. Seppure la carta sembrava antica e logora, ancora recava precisi segni che indicavano con inquietante precisione delle indicazioni sul percorso.
“E’ questo il posto”, disse Riccardo.”Non possiamo sbagliarci.”
Infatti nessuno aveva dubbi. Era quella la via che li avrebbe condotti dove volevano infine arrivare. Così presero, come si suol dire, il coraggio a quattro mani e si diressero verso il nero bosco. Marcello, una volta penetrati per alcuni metri, si arrischiò ad accendere la grossa torcia che portava appesa alla cintura. La forte luce illuminò il sentiero serpeggiante davanti a loro. Più avanti girava oltre la loro vista. La luce della torcia ebbe un effetto imprevisto. I tenui e quasi indefinibili rumori che permeavano il bosco aumentarono di intensità e, quasi con orrore, alcuni di questi rumori o versi divennero quasi identificabili.
“Spegni!”, disse con voce roca Nicola.
Dopo qualche istante il buio calò nuovamente fra loro e i rumori tornarono ad una flebile intensità, piacevolmente non distinguibili.
Lo strano gruppetto riprese il cammino lento ma abbastanza deciso. Il sentiero in più punti era quasi ostruito dalle folte braccia degli alberi secolari che si chiudevano minacciosi sopra le loro teste. Quando un viscido ramo li toccava, si ritraevano inorriditi. Ma spesso quando credevano di averne schivato uno, sembrava quasi che questo si muovesse per ghermirli. La tensione aumentava ad ogni passo, tanto più che ormai l’oscurità era tale che presto sarebbero stati costretti ad accendere una luce.
Il buio divenne quasi impenetrabile. Ormai non facevano altro che sbattere contro i rami e inciampare sulle viscide rocce ricoperte da umido e nauseante muschio nerastro. Erano ora costretti ad accendere almeno una piccola luce per guidare i loro passi, ma avevano terrore di farlo. D’un tratto, oltrepassata una delle ultime strette anse del sentiero, il buio si diradò sensibilmente. Riuscirono di nuovo a vedere più chiaramente il sinuoso serpeggiare davanti a loro. Ma la luminosità, che aumentava sempre più, era quasi più inquietante del buio. Aveva una strana tonalità giallastra, anormale e certo non lasciava presagire nulla di buono.
Infatti ben presto un nodo di terrore li fece fermare. Il cupo tunnel che penetrava il bosco continuava attorniato da fitti rami contorti che si protendevano, sinistramente illuminati, fremendo e sfregandosi gli uni con gli altri, producevano un sordo rumore viscido e nauseante. Un lezzo putrido e dolciastro invadeva il poco spazio libero in una foschia opprimente. L'aria pesante era quasi irrespirabile e bruciava la gola secca dei quattro amici. Poco più avanti una figura di aspetto umano bloccava quasi interamente lo stretto passaggio fra gli alberi secolari e muschiosi, attorniato dalla luce giallastra e terribile. Lo sguardo di tutti e quattro era fisso e immobile sulla figura i cui tratto erano indistinguibili. Dondolava lenta facendo fremere la luce che emanava. Non riuscivano a distogliere lo sguardo da quelle vesti di seta trasparenti e fluttuanti che circondavano la figura luminosa. Lunghi capelli che si muovevano come serpi infernali circondavano il volto nascondendolo. Speravano fosse solo un incubo, ma tutto era così vero e palpabile e una sensazione strana e insinuante li attirava verso la figura. Il peso della paura lancinante aumentava piano piano mentre le loro mani si protendevano verso la luce. Lentamente. Inesorabilmente.
Poi, quando ormai il terrore e la costernazione avevano quasi superato il limite di sopportazione, la testa delle figura dondolò e sembrò loro sorridere il volto nascosto. Poi quasi levitando sul terreno, l'essere si allontanò da loro, ma loro vi si avvicinavano costantemente. Così, per un'infinità, seguirono l'essere luminoso, incuranti dell'ombra umida e vomitevole del bosco e degli occhi cattivi e minacciosi che li squadravano dalle tane nascoste nel sottobosco intricato di rovi puntuti.
Camminarono così come ebeti per diverso tempo fino a che la luce giallastra dell'essere non illuminò un piccolo spiazzo ricoperto da un umido strato di erba umida. Camminavano calpestando una miriade di esseri viscidi rintanati fra l'erba: enormi lumache che scoppiavano con un tremendo rumore; vermi nauseanti che si attorcigliavano nelle scarpe risalendo lungo le gambe; frotte di grossi scarafaggi che si gettavano saettando sui resti delle lumache e dei vermi. La figura luminosa si fermò proprio al centro dello spiazzo, sovrastando degli strani ruderi ricoperti dalla vegetazione fitta, una sorta di cubo di pietra alto circa due metri. Proprio dietro alla figura, sul lato della strana struttura, c'era una specie di portone in pietra sovrastato da incisioni grottesche e innaturali. Dopo un istante la figura scomparve letteralmente nel buio lasciando i quattro ragazzi nell'oscurità più nera ma, allo stesso tempo, quasi sollevati dalla sparizione della creatura. Per lunghi istanti i quattro rimasero quasi immobili respirando rumorosamente l'aria quasi piacevole in quella piccola radura poi Nicola disse:
“Bene. Forse questo è il luogo che cercavamo. Entriamo.”, poi si avvicinò al portone di pietra e cercò di spingerlo verso l'interno, ripulendone la superficie con un gesto veloce della mano dal groviglio di vegetazione e creature viscide. Il portone rimase immobile. Nella superficie si intravvedevano delle incisioni incomprensibili, sinuose e raccappricianti. Le figure sul portone si intravvedevano a malapena con l'aiuto della poca luce della luna seminascosta dalle nubi.
“Aspetta !”, disse Marcello e accese la torcia illuminando sinistramente il portone. Rimasero quasi abbagliati dall'improvvisa luce. Poi successe qualcosa di strano. Le figure sul portone sembrarono quasi muoversi in uno strano vorticare, si spostavano o era un miraggio dovuto alla paura e al terrore? Poi, accompaganto da sinistri scricchiolii , il portone si socchiuse lentamente.
I quattro si fecereo avanti con lentezza. Oltre il portone una pesante cappa di oscurità avvolgeva ogni cosa; l'aria era stantia e sgradevolmente umida. Alla fine si ritrovarono all'interno, calpestando un fitto strato di polvere e calcinacci. Quando ormai erano completamente dentro, un'improvviso sentirono un forte botto alle loro spalle e lampo di luce li accecò per qualche istante. Poi tutto fu completamente buio e tetro. Non vedevano altro che nero attorno a loro. Gianluca fece qualche passo verso il portone e, a tastoni, cercò di riaprirlo ma, non trovò altro che solida roccia ricoperta da licheni muschiosi.
“Non c'è più! Non trovo il portone!”, disse con la voce piena di paura.
Allora Marcello tirò fuori la torcia elettrica dallo zaino. La accesse ma, dopo un fugace barume, si spense. Un pesante silenzio calò in quell'antica stanza di pietra. Lo sconforto li colse ma, perlomeno, erano riusciti a scorgere la forma della stanza, larga non più di 5/6 metri, e, soprattutto, avevano scorto vagamente l'ombra di un'apertura nella parete opposta a dov'erano loro. Riky in particolare aveva scorto in una parete vicino a lui quelle che sembravano torcie di legno. Fece un paio di bassi e quasi si scontrò sulla parete. Riuscì quasi subito a tastare una di quelle torce. Era un semplice pezzo di legno con un vecchio straccio in brandumi in cima, intriso con della pece. Frugò nelle tasche e prese un pacchetto di fiammiferi. Maneggiò per alcuni istanti fino a che non riuscì ad accenderne un paio che avvicinò alla torcia. Questa, nonostante tutto, si accese quasi subito e illuminò la stanza. Così osservarono con più chiarezza dov'erano. Le pareti sembravano scavate nella roccia. D'improvviso mentre osservavano le macchie luminose sulle pareti, un frastuono metallico li fece sobbalzare. Gli sguardi si volsero perplessi verso Nicola.
Riccardo disse rompendo il silenzio:”Ma perchè ti sei portato dietro quell'inutile spadone?! Non è neanche affilato”. Guardò il fratello con sguardo corruciato, perchè mai gli aveva trascinati in questo strano sogno.
Nicola con fare sommesso rimise a posto lo spadone, pensando che tutto questo doveva avere un senso. Riccardo si avvicinò all'unica vecchia porta che c'era nella stanza. Iniziò ad armeggiare con la maniglia che quasi subito cascò a terra fra la polvere secolare; spinse leggermente la porta aprendola senza difficoltà verso l'esterno. Subito lontani rumori indefinibili riempirono l'aria. Oltre la porta videro uno stretto e lungo corridoio spazzato da un flebile soffio d'aria dallo strano odore. Marcello disse:”E ora? Da che parte? Destra o sinistra?”.
Per un po' rimasero immobili ad ascoltare. Nicola intanto tirò fuori dallo zaino alcune vecchie carte osservandole alla luce instabile della torcia; da qualche parte in quel mucchio inutile di fogli giallastri ci doveva essere qualche mappa.
Alla fine Riccardo disse: ”Forse la cosa migliore è seguire la corrente dell'aria”. E volse lo sguardo verso la direzione da cui provenivano gli strani rumori. Così si incamminarono cautamente illuminando man mano antiche pareti muschiose.
Dopo un po' sentirono Marcello che annusava rumorosamente l'aria. Poi si avvicinò a Nicola e gli sussurrò: ”Questo odore mi pare di ricordarlo. Non ricorda forse quell'intruglio che avevi preparato quella volta seguendo le istruzioni di quel vecchio libro che avevamo trovato?” mentre annusava però, gli odori, talvolta nauseanti, si mischiavano fra loro.
Nicola gli rispose: ”Si. E hai provato ad ascoltare quell'acuto squittio che ogni tanto si sente? Non ti sembra il verso di quel piccolo viscido essere che abbiamo sognato tutti e due la notte dell'allineamento dei pianeti”. Marcello guardò innanzi a se con lo sguardo perso nel nulla. Gianluca li osservava perplesso, indovinando solo in parte i loro cupi pensieri. Si chiedeva anche lui perchè si erano imbarcati in questa strana spedizione notturna. Volgendo però lo sguardo verso Riccardo che proseguiva illuminando a malapena la strada davanti a se, fu rinfrancato dall'atteggiamento spavaldo e spensierato nel suo amico. Dopo diversi minuti di cammino durante i quali i rumori e i versi irriconoscibili si erano attenuati, il corridoio prese a salire leggermente e a divenire piuttosto irregolare. In molti punti sembrava un elemento naturale oppure qualcosa creato non dall'uomo; qua e la lungo le pareti spuntavano fuori strani minerali luminescenti che brillavano sinistramente alla luce della torcia. In un punto della parete alla loro destra particolarmente ricco di questi quarzi Riccardo scorse una piccola apertura vagamente circolare; si fermarono ad osservarla e sentirono che da questo buco fuoriusciva una leggera brezza. Nicola si attardò ad annusare e disse: ”Mi sembra che sia la stessa aria che viene dal corridoio”. Poi, rivolgendosi a Gianluca: ”Pensi di riuscire ad entrarci?”.
Gianluca quadrò il piccolo buco nero e viscido ricoperto da licheni in mezzo ai quali spuntavano strani vermicelli fini e giallastri. 'che viscido buco schifoso!', pensò. Poi disse: ”Dovrei passarci. Almeno credo”.
Con una buona dose di ribrezzo Gianluca si abbassò verso il buco e cercò di infilarvisi scacciando con le mani i gelidi vermiciattoli che gli si infilavano fra le dita. Quando ormai spuntavano fuori solo le gambe, sentì davanti a se che nel buio pesto, si apriva un vasto antro. In qualche modo Riccardo provò a fare entrare un po' di luce nel buco, ma non vi era quasi nessun pertugio, infatti, ben presto Gianluca non riuscì più a muoversi.
“Sono bloccato, spingete.” Marcello prese per i piedi Gianluca e cercò di spigerlo in avanti. Gianluca si mosse di qualche centimetro, sputando uno strano insetto dalle zampe pelose che si stava cibando di un verme prima di finirgli in bocca. Poi sentì uno strano rumore come di strascichio provenire dal nero antro davanti a se, qualcosa di ancor più nero e grosso si stava a lui. “Tiratemi fuori!”. I tre fuori sentirono la voce letteralmente impazzita e furono presi dal panico. Marcello cercò in tutti i modi di tirare fuori Ginaluca non riuscendoci. Si guardarono attorno senza sapere cosa fare, poi quando anche loro udirono distintamente il sordo rumore di passi pesanti e inimmaginabili, Marcello con vigore cercò in tutti i modi di allargare il buco frantumando le rocce friabili attorno; con poderose spallate prese a sbattere contro la parete, poi, mentre Nicola, senza sapere perchè, tirò fuori lo scenografico spadone, una grossa parte della parete crollò e davanti a loro si parò un essere indefinibile, che stava protendendo i suoi artigli verso Gianluca. Nicola senza pensarci due volte sfoderò lo spadone verso l'essere, infilzandolo fino a che la lama non uscì dall'altra parte.
Uno strano silenzio calò. “Era affilato”, disse Riccardo.
Ancora tremante Gianluca si tolse di dosso pietre e polvere e si rialzò lentamente. La torcia era per terra, caduta di mano a Riccardo. Quasi si spegneva quando la riprese in mano. Nicola, con uno sguardo strano negli occhi scuri, sfilò lo spadone della creatura che nessuno fissava. Con un orrbile risucchio la lama uscì dalla carne. La ripulì accuratamente e osservò sbalordito la lama affilata. Con un movimento veloce e sicuro la ripose nel fodero.
Rimasero nei pressi della piccola grotta per alcuni minuti, riposandosi e riflettendo sul da farsi
FINE

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