domenica 6 luglio 2014

Il mondo è loro

Non erano passati che cinque giorni da quando, la prima volta, avevano lasciato la casa diretti verso l'ignoto ed erano scampati a quella che sembrava la loro fine come inquilini di questo mondo, vecchio e logoro; ne erano usciti fuori più vivi che mai, come esseri che si nutrivano delle loro stesse paure. Ed ora, nuovamente avevano fame di cose strane e sconosciute.

~
Dopo la nostra avventura scoprii che avevo bisogno, come il mio amico, di continuare a cercare, ad inoltrarmi, a scovare nuove orribili mostruosità celate nell'oscurità; decidemmo nuovamente di percorrere arcani sentieri illuminati dalla rivelatrice luce della luna.
Non erano passati che cinque giorni dall'ultima volta, ma erano sembrati una lunga vita: di nuovo ci stavamo inoltrando tra bassi arbusti accompagnati dalla falce della luna clanate in una notte brezzata. Poco prima avevamo costeggiato, lungo una stretta strada, il tetro cimitero che quasi ci chiamava, bramoso delle nostre spoglie mortali. Avanzammo decisi e dopo pochi minuti lasciammo la strada inoltrandoci oltre un cancello naturale costituito da due contorti alberi che si chinavano in un eterno abbraccio. Decisi di accendere la torcia ed illuminai spettralmente gli arbusti; quasi che questo fosse un segnale, prima Marcello, poi io, sentimmo uno stranissimo rumore alle nostre spalle: ci girammo imperterriti e di nuovo percepimmo quel sinistro verso, quello strano grugnito simile al ringhio sibilante di una iena; ma questo sembrava quasi modulato come se l'essere volesse dirci qualcosa.
Di nuovo non avvistammo nessun movimento sospetto e di nuovo la creatura si fece sentire, più vicina, più comprensibilmente e più famelica e stavolta riuscimmo a capire il verso: “rogriin”. Scorgemmo un ombra fuggevole che non apparteneva a nessuna creatura conosciuta ne immaginabile. Sembrava avvicinarsi fuggevole per seguirci a distanza e sputarci addosso il suo alito infernale e di nuovo scomparire fra gli arbusti senza mostrare la sua figura abominevole.
Ormai avevamo i nervi tesi come il condannato a morte davanti ai suoi boia ed avevamo deciso di tornare sui nostri passi quando, subito dopo un ringhio molto vicino ci ritrovammo davanti ad una bassa costruzione seminascosta da alti cespugli di ginepro che sembravano celare ogni sorta di tana. Osservammo in silenzio il piccolo torrione mentre alle nostre spalle la creatura respirava rumorosamente: era costruito con grosse pietre che contornavano una porta scura semiaperta. D'improvviso la bestia proruppe in un possente ringhio: “ROGRIIIINN!!”. Ci voltammo di scatto e vedemmo l'enorme essere il cui corpo raggrinzito si stagliava nella deformità alla luce della torcia: sembrava un gigantesco cane ricoperto da fitti peli neri; la sua schiena si incurvava a formare una gobba e le quattro zampe terminavano con lunghi artigli ricurvi, grandi il doppio di quelle della più poderosa delle tigri; la grande testa dondolava all'apice di un lungo collo ricoperto da una miriade di piccoli tentacoli che brulicavano come vrmi impazziti; sulla testa due enormi occhi gialli osservavano le nuove prede.
Mi bloccai quasi attratto da quelle fauci sbavanti, mentre la bestia piegava le grosse zampe pronta al balzo mortale; poi sentii uno schianto che mi sembrò come una montagna sul mio petto. Chiusi gli occhi. Poi li riaprii e mi ritrovai inuna buia camera chiusa da una grossa porta; davanti alla porta c'era Marcello che sobbalzava ogni volta che la bestia cercava di sfondare l'uscio, i cui rinforzi in acciaio cominciarono a cedere. Mi affannai armeggiando con la torcia. Ben prsto trovai una botola arrugginita che aprii con fatica rompendo i sigilli del tempo. Illuminai l'interno e scoprii una breve rampa di scale che conduceva verso una piccola stanza in cui scorsi una porta. Urlai a Marcello di gettarsi nella botola. Subito dopo che vi si fu fiondato dentro, lo seguii, chiudendo la botola e cercando di bloccarla con un asse di legno. Sentii lo schianto della porta e corsi lungo la scala.
Trovai Marcello davanti alla porta che osservava qualcosa. Guardai anch'io e scorsi alcune righe di una strana scritture incise sulla porta. Sentimmo il cigolare della botola e lo stridire degli artigli sulla pietra e ci gettammo oltre la porta chiudendola alle nostre spalle. Corremmo lungo un corridoio poi ci bloccammo davanti ad una frana. Non sembrava esserci via d'uscita quando scorsi una piccola apertura, mentre sentivamo il furioso galoppare della creatura. Marcello salì sulle grosse pietre e si insinuò nello stretto passaggio. D'un tratto si incastrò e urlò di dolore quando la sua pelle si lacerò su uno spuntone. Vedevo i tenbrosi occhi della bestia farsi sempre più vicini, poi Marcello riuscì a passare dall'altra parte. Mi gettai verso il passaggio eincurante dei graffi e mi affannai disperatamente mentre sentivo il pesante ansare della bestia. Riuscì a passare con l'aiuto di Marcello. Sentimmo le urla lancinanti della bestia: rogriiin, rogriiiinn! Vidi i suoi artigli che si facevano strada fra le rocce. La bestia era troppo grossa. Vidi le sue fauci alle luci della torcia. La torcia! Era caduta dall'altra parte. Un gelido brivido corse lungo la miaschiena. Ci allontanammo disperati sperando che la bestia si allontanasse. Girammo l'angolo ed aspettammo nel buio totale. Piano piano i ringhi cessarono, così ci avvicinammo cautamente alla frana; la luce penetrava flebile. Decisi di passare dall'altra parte. Marcello aspettava tremante. Mi arrampicai ed infilai la testa nel buco. Mi sporsi. Ormai ero a pochi centimetri dalla torcia. La bestia non si vdeva. Allungai la mano. Sfiorai la torcia. Poi sentii possenti artigli che scavavano profondi solchi nella corsa famelica della bestia. Mi sporsi ancora in un disperato tentativo. Persi l'equilibrio e la torcia scivolò lontano. Marcello mi prese per le gambe e cominciò a tirarmi mentre i ringhi della bestia salivano di tono diventando striduli urla di morte. Mi saltò addosso proprio quando Marcello riuscì a tirarmi verso di lui. Gli artigli si protessero e mi colpì ad un braccio; poi scivolai lungo il passaggio mentre le affilate unghie strisciaro sul mio braccio, aprendo profonde ferite. Il dolore fu immenso ma mi ritrovai salvo con Marcello. L'odore del sangue eccitava la bestia che gettava il suo corpo possente sulle rocce, facendo traballare la volta di pietra. Il sangue colava copioso dalla mia mano e formando ua pozzanghera. La bestia urlava. Io urlavo. Poi svenni.
FINE

Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per il tuo commento