lunedì 6 luglio 2009

Un grande passato


Era nero, come tutti i giorni. Nero di polvere della fucina calda e soffocante dove stava tutto il giorno, tutti i giorni dell'anno. Batteva e batteva sull'incudine e torceva, affilava bellissime spade temprate d'acciaio dei Monti Brumosi. Era un incessante lavoro, duro. Il suo corpo era diventato possente e resistente, temprato come e più dell'acciaio che batteva. E anche il suo cuore era duro e nero. Era giunto li, in quello sperduto villaggio in mezzo ai ghiacci un anno prima e non aveva altro che un piccolo seme e poco altro addosso.
Nessuno sapeva chi era e nessuno mai glielo chiese. Subito iniziò a lavorare in una buia fucina abbandonata da mesi, dopo che il vecchio fabbro era morto di vecchiaia.
Lavorava incessante e produceva bellissime lame che partivano per le valli. Parlava poco e nessuno sapeva perchè era giunto li.
Quella sera uscì quasi all'imbrunire e salì il solito sentiero ripido e scosceso. Solo lui conosceva quella via. Aveva trovato quel posto poco dopo essere arrivato.
Saliva piano, alla luce tenue del tramonto. Come un ombra leggera giunse infine molto in alto, rabbrividendo appena per il gelido vento dei monti.
Ecco che arrivò in un piccolo anfratto protetto dalle intemperie. Accese una piccola lanterna e la poggiò sulla roccia piano piano, quasi con devozione.
Osservò la piccola pianta, esile. Aveva un unico stelo flessuoso, in cima al quale un piccolo fiore ancora addormentato era chiuso nella morsa del gelo.
Lui prese da una tasca un piccolo otre e iniziò a versare con una strana delicatezza acqua ai piedi del fiore. Questo sembrava quasi fremere.
Una scura e forte mano quasi accarezzò il fiore rinchiuso nel ghiaccio.
"Non è ancora ora di partire ed amare di nuovo", disse con una voce malinconica, socchiudendo gli occhi, pensando e sognando.